di Gianni Sartori
Come aveva denunciato pochi giorni fa (fine settembre 2018) il giornalista Nurcan Baysal “devastanti incendi boschivi provocati da operazioni militari imperversano da due mesi a Dersim, provincia curda nella Turchia orientale”. Senza naturalmente dimenticare che “Dersim, popolata da curdi aleviti, nel 1938 è stata teatro di un brutale massacro attuato dalle forze di sicurezza, un massacro in cui decine di migliaia di persone sono state uccise e sfollate”.
Circondata da montagne ricoperte da folte foreste, la città di Dersim quest’anno ha visto scoppiare i primi devastanti incendi boschivi in luglio nella zona di Aliboğazı. Ma – ricordava sempre Baysal – “né il governatore provinciale di Tunceli, né le autorità forestali, né nessun altra istituzione ufficiale ha fatto qualcosa per spegnere le fiamme”. Sono invece immediatamente intervenuti, lavorando alacramente e duramente, i volontari e le organizzazioni ambientalista locali.
Questi primi incendi hanno imperversato per oltre due settimane. Altri ne sono scoppiati in agosto, in contemporanea con le operazioni militari dell’esercito turco (non certo estraneo nello scatenare le fiamme) contro la guerriglia curda. In particolare, nei distretti di Pülümür, Hozat, Nazmiye, e Ovacık. Migliaia di ettari di foreste sono andati in fumo, centinaia di migliaia di animali selvatici sono rimasti carbonizzati.
Ambientalisti, militanti di sinistra, abitanti dei luoghi che si erano mobilitati sono stati letteralmente bloccati dalle autorità locali (per “ragioni di sicurezza”), ma le stesse autorità, per quanto sollecitate in tal senso dalla popolazione, non sono intervenute per fermare il fuoco devastatore. Non solo! Chi ha denunciato la grave situazione, è stato accusato di “sostenere il terrorismo del PKK”. Da manuale.
Il giornalista si era detto particolarmente amareggiato per quanto accadeva sulla montagna di Cudi – non lontano da Diyarbakir, sua città natale – che negli ultimi anni ha visto diminuire drasticamente, quasi scomparire, flora e fauna selvatica “a causa degli incendi provocati dalle operazioni militari”.
Va ricordato che in oltre trentanni di guerra contro il PKK, Ankara ha saccheggiato i territori curdi, bruciato le le foreste, iavvelenato fiumi e torrenti.
Anche con l’utilizzo di armi chimiche che hanno causato degrado ambientale e malattie.
Fonti di Dersim avevano da tempo denunciato un significativo incremento delle malattie tumorali, in numero maggiore rispetto ad altri territori sotto amministrazione turca.
Murat Çepni, membro del parlamento ed esponente del Partito Democratico dei Popoli (HDP, all’opposizione), ha denunciato senza mezzi termini che “gli incendi costituiscono un crimine costituzionale”.
Stando alle sue dichiarazioni ”tra il 16 e il 23 luglio più di 90 incendi si sono sviluppati in 33 distretti, ma gli incendi nella regione curda sono stati trascurati dai media. Non c’è stata copertura nei meda internazionali”.
Un appello agli ambientalisti turchi, gli stessi che avevano saputo ribellarsi – coraggiosamente – per gli alberi di Gezi Park:
non lasciate che il vostro Stato (o meglio: quello che pretendo di esserlo, di rappresentarvi) compia questo ulteriore ecocidio contro la natura del Kurdistan
Gianni Sartori